FUNNY GAMES

MICHAL HANEKE · 1997 · 109m

Anna si reca insieme al marito George ed al figlio di 10 anni, Georgie, nella loro casa di vacanza sul lago. Tuttavia, quello che si era preannunciato come un felice periodo di vacanza, si trasforma ben presto in un violento incubo quando alla loro porta si presentano due giovani

Genere:
Locandina di FUNNY GAMES

Valutazioni

9

Idea

8

Quality

10

Scrittura

8.5

Magnet

8.6

Sensibilità

7.7

Tensione

7

Inquietudine

10

Atmosfera

8.8

Finale

Trailer

Soundtrack

Spiegazione

Durante la sua presentazione al Festival di Cannes del 1997, i due terzi degli spettatori lasciano la sala. Preambolo di fallimento? Assolutamente No. Ora come allora, “Funny Games” è una pellicola che NON FA SCONTI: un esaustivo compendio su violenza, cattiveria umana e ipocrisie alto-borghesi.

Michael Haneke ha un approccio DOCUMENTARISTICO e quasi CHRIRUGICO alla regia. Le riprese sono STATICHE, SIMMETRIA e regola dei terzi la fanno da padrone, la fissità dei fenomenali PIANI SEQUENZA accresce l’angoscia. L’illuminazione è NATURALE, senza alcun artificio aggiunto in post-produzione.

Come la macchina da presa non è altro che UN MEZZO per mostrare al pubblico tutte le nefandezze che cerca di ignorare, così la luce è, né più né meno, ciò che serve per RIVELARLE. E perche’ siano rivelate in tutta la loro crudezza, il superfluo va eliminato: la colonna sonora e’ assente, eccezion fatta per i dirompenti titoli di testa e di coda. L’azione si svolge quasi interamente in un unico luogo che, nonostante la vasta metratura quadrata, diventa OPPRIMENTE e CLAUSTROFOBICO.

Nella scenografia domina il BIANCO, colore di solito associato a pace e buoni sentimenti di sorta, elementi per cui, però, non c’è spazio in questa pellicola. Allora il candore brucia la retina, la gentilezza diventa pressante, è così perfetto da risultare FASTIDIOSO, e ne diventa insopportabile il contrasto con il rosso degli schizzi di sangue.

Ma cio’ che e’ davvero insostenibile, in Funny Games, e’ quello che non si vede. Le scene di violenza, infatti, non sono mai mostrate in modo esplicito: avvengono AL DI FUORI dell’inquadratura. Lo spettatore viene OBBLIGATO a colmare il vuoto dell’immagine e, nel farlo, viene preso a schiaffi due volte.
- Primo ceffone: il fatto che qualcosa non compaia in bella vista non lo rende meno vero, legittimo e palpabile. Distogliere lo sguardo dalla violenza, fare finta che non esista, non la fara’ SCOMPARIRE
- Secondo ceffone: in realta’, inconsciamente, la fantasia del pubblico sta gia’ volando. Immagina le scene piu’ sordide per sublimare un malsano senso di VOYEURISMO. Perche’ al pubblico la violenza piace. Ha imparato a tenerla a distanza, filtrarla ed edulcorarla per giustificare il fatto di rimanere a guardare.

Un’ipocrisia pari a quella degli alto-borghesi protagonisti dalla pellicola. Convinti che, nella loro pena morale, un buono STATUS SOCIALE e una recinzione curata li possano risparmiare dalla follia del mondo. Invece, gli istinti di sopravvivenza sono stati assopiti da CONSUMISMO e retorica, il male e’ stato cosi’ tanto ignorato da non saperlo piu’ riconoscere e dimenticare come difendersene. Il marcio si annida anche fra villette per vacanze e barche tirate a lucido.

Un molle benessere che sfocia in una noia esistenziale, a cui l’unica soluzione e’ una violenza tanto piu’ soddisfacente quanto piu’ sadica e senza senso. Violenza che irrompe cosi’ brutale da SFONDARE LA QUARTA PARETE, senza lasciare scampo.

Consiglio: Preparati ad una esperienza intensa e atipica